Valentina Porcheddu

Sognare città antiche: l’archeologia del Mediterraneo tra visione romantica e realtà.

“Quando, nell’agosto del 2015, i miliziani dello Stato islamico diedero avvio a una serie di “spettacolari” esplosioni degli edifici di Palmira – prima il Tempio di Baalshamin, poi il grandioso Tempio di Bel (seguiti dalle Torri funerarie, dall’Arco e dal Tetrapilo) – nel mondo intero si scatenò una straordinaria ondata emotiva. Migliaia di persone piansero le macerie della “Sposa del deserto”, al pari (e forse persino di più) delle innumerevoli vittime civili del devastante conflitto siriano. La città carovaniera è entrata nell’immaginario europeo già dalla fine del XVII secolo attraverso il resoconto di viaggio di Robert Wood e James Dawkins, accompagnato dai disegni di Giovanni Battista Borra. Un sogno di sabbia e di pietra, infranto – secondo la narrazione dei media mainstream – dalla furia iconoclastica dell’Isis. In realtà, come è possibile ricostruire superando la visione ideologica dei fatti, Palmira – patrimonio Unesco dal 1980 – ha avuto un ruolo rilevante nella lucida strategia di guerra sia dello Stato Islamico che del governo di Bashar al-Assad. Ancora impregnato di romanticismo e spesso di esotismo, lo sguardo occidentale colloca l’archeologia in una visione quasi eterea, come se le vestigia del passato non fossero parte integrante dell’odierno quadro ambientale, sociale e politico. Dal Medio Oriente alla Grecia fino al Nord Africa, le città antiche sono minacciate non solo dal terrorismo ma anche da catastrofi naturali, abusi edilizi, saccheggi e politiche economiche dissennate. Affrancarsi dalla retorica della bellezza, apparente o violata, delle rovine per analizzare i contesti in tutte le loro complesse sfaccettature è il primo passo verso la consapevolezza della fragilità delle nostre memorie, nell’ottica di una militanza collettiva per la salvaguardia del patrimonio dell’umanità”.

Valentina Porcheddu è dottore di ricerca in Storia, lingue e letterature antiche dell’Università di Bordeaux Montaigne, nonché giornalista. Dalla Sardegna, dove è nata nel 1975, ha intrapreso un vero e proprio periplo del Mediterraneo, perfezionando la sua formazione all’Università di Barcellona e alla Scuola Archeologica Italiana di Atene. Molti anche i paesi della riva sud del mare nostrum nei quali ha effettuato soggiorni di studio e ricerca in ambito archeologico: Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria e Libia. Nel suo lungo percorso è stata borsista e ospite di istituzioni prestigiose quali l’École française di Roma e di Atene, la Casa de Velásquez di Madrid, il Centro di studi alessandrini di Alessandria d’Egitto, l’Istituto archeologico di studi egei di Rodi, il Centro di studi magrebini di Orano e il Dipartimento di Antichità di Tripoli. Ha inoltre partecipato a numerosi convegni internazionali di epigrafia e archeologia classica, da Berlino a Mosca. Dal 2009, Valentina Porcheddu scrive di archeologia e di politiche dei beni culturali sul quotidiano il manifesto. Una raccolta dei suoi articoli sui temi del sensazionalismo, delle distruzioni e delle restituzioni del patrimonio è confluita nel volume Notizie dal passato. Cronache archeologiche del XXI secolo (Mimesis edizioni), candidato al Premio Vero 2024 “per i libri che spiegano il mondo”. Attualmente Valentina Porcheddu risiede nella cosmopolita Marsiglia: dalla città fondata nel 600 a.C. dai Greci di Focea, continua a esplorare e raccontare il mondo antico.

 

La foto è di Morteza Herati