Marco Minoja

Di mare di morte di mostri. Immagini arcaiche per un immaginario contemporaneo

“Per gli antichi il Mare Mediterraneo, e quella particolare porzione così significativa per lo sviluppo dei popoli italici che è il Mare Tirreno, è un mare accidentato di mostri; tritoni, mostri anguipedi, ibridi mezzo pesce e mezzo cane, o mezzo cavallo popolano l’immaginario marino così come ci viene restituito attraverso il corpus delle immagini della ceramica campana a figure nere, vera e propria replica in versione locale, con proprio repertorio vascolare e proprio universo immaginifico, della produzione a figure nere etrusca, a sua volta tributaria delle esperienze vascolari attiche, prodotto ceramico di élite per le ormai ampliate classi sociali abbienti del mondo etrusco arcaico.

Ma è un mondo marino che si lega indissolubilmente alla sfera della morte, alla percezione di un ambiente altro dalla terra, luogo delle relazioni, della produzione, della vita.

Sin dall’antichità il profondo mare, con le sue insidie e i suoi mostri, misteriosi ma incombenti, che ne oggettivizzano l’esistenza, costituisce quel collettivo luogo di spavento e di morte che troppe volte nel corso dei secoli, e drammaticamente nella crisi contemporanea dei sud del mondo, il Mediterraneo ha rappresentato”.

 

Le biografie ufficiali dicono “manager culturale”.

Ma per vivere si è occupato di tutto: dagli scavi di siti preistorici alla formazione nelle performing arts contemporanee.

Archeologo di studi universitari, con una specializzazione in Etruscologia, ha lavorato in località meravigliose, in Etruria e nella Campania felix in particolare, e poi per lunghi anni nella Sardegna nuragica, fenicia, romana, tardo-antica, imparando a scavare sempre in profondità e provando ad arrivare all’origine delle cose.

Si è occupato in particolare di età orientalizzante e arcaica, di ceramiche etrusche; si è appassionato allo studio delle immagini, capendo che sin dall’antichità non servono ad altro che a raccontare storie.

Ha pubblicato decine di articoli scientifici, documentazioni di scavo (“Le sculture di Mont’e Prama. Contesto, scavi, materiali”, “Una città sul mare. Ricerche archeologiche a Bithia”,  “S.Prisco (CE). Località Monte Tifata. Scavi al tempio di Giove Tifatino”, “Le necropoli di Capua tra l’età orientalizzante e l’inizio del V secolo a.C.”) cataloghi per mostre e musei (“Il Museo Archeologico dell’Antica Capua”,L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica”, “Le stive e gli abissi”, “Il viaggio della Chimera”, “Eurasia. Fino alle soglie della storia”), convinto che il racconto sia lo strumento per appassionare il pubblico persino all’archeologia.

Grazie alla sua passione per le immagini ha convinto un grandissimo fotografo come Gianni Berengo Gardin a salire su una vecchia Panda arancione e a girare insieme tutta la Sardegna: ne è uscito “Architetture di pietra”, Ed. Imago Multimedia, un libro a quattro mani, o meglio una mano e due macchine fotografiche, un po’ manuale di architettura nuragica, un po’ diario di viaggio, un po’ racconto di incontri straordinari dentro paesaggi sardi altrettanto straordinari.

Recentemente ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti, I corpi celesti, EV Casa Editrice, passando a indagare il tempo presente e guardando alle vite di uomini e donne di oggi.

Vive e lavora tra Milano e Mulinetti, con due figlie, due gatti e una famiglia variegata di parenti amici amori animali e piante.